Maurits Cornelis Escher

Leeuwarden 1898 - Laren 1972



Testo di Sara Anna Sapone



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Otto teste 1922, xilografia su legno di testa, 32.5 x 34 cm , Cornelius Van S. Roosevelt Collection



L'opera, creata quando Escher era ancora uno studente della scuola di architettura e arti decorative ad Haarlem, è la prima stampa in cui l'artista olandese sfrutta alcune regole della percezione visiva : egli infatti si diverte a “giocare” con le immagini, creando una successione di volti che può essere letta anche girando sottosopra la stampa.

Inoltre,in tale xilografia, Escher sfrutta il concetto di pieno e di vuoto,ritenendo che, nella percezione di una figura disegnata su un piano, lo spazio negativo (cioè l'assenza di colore, il vuoto) tra un oggetto e l'altro abbia la medesima importanza,nell'economia della composizione, dell'oggetto stesso; in realtà, l'artista non si limita a questo : egli fa si che lo spazio negativo fra gli oggetti arrivi ad assumere una forma vera e propria. Conseguentemente,data l'applicazione di tali principi, i vari moduli( cioè i singoli volti) arrivano ad incastrarsi in modo tale da diventare ,di volta in volta,l'uno lo spazio negativo dell'altro.

Con quest'opera , Escher si inserisce a pieno titolo in quel filone, caratterizzato da ambiguità rappresentativa e dall'utilizzo consapevole di leggi della percezione visiva,che ebbe un grande sviluppo all'inizio del Novecento.

Infine,va sottolineato come nel blocco di legno utilizzato per comporre tale opera, Escher abbia intagliato unicamente otto teste,quattro femminili e quattro maschili : l'immagine finale è stata quindi ottenuta semplicemente stampando il modello per quattro volte.

Castrovalva 1930 ,litografia, 53,6x41,7cm



Escher, ricordando l'occasione in cui elaborò lo schizzo preparatorio dell'opera,afferma:Mi fermai su questa stretta piccola mulattiera quasi un giorno intero e disegnai per tutto il tempo. Sopra di me c'era una scuola e sentivo le chiare voci dei bambini che cantavano”

In tale memoria,l'artista affresca in modo vivido la realtà quotidiana di un piccolo paese abruzzese, Castrovalva, situato sulla cima di una ripida altura; per la sua collocazione geografica,l'autore è costretto, nella rappresentazione del paese, a mantenere una prospettiva in direzione nord-ovest. Inoltre, in tale litografia, sono visibili in primo piano, situati nei pressi di un sentiero, piante da fiore, erbe, felci, uno scarabeo ed una lumaca; infine, osservando la vallata sottostante, si scorgono campi coltivati e due città, Anversa degli Abruzzi (la più vicina) e Casale( in lontananza).

Del resto,l'amore di Escher per i paesaggi italiani appare evidente, sia per le sue affermazioni che per la scelta di numerosi soggetti ispirati ad essi; sicuramente, tale tipologia paesaggistica, così diversa dalla monotona distesa della pianura olandese ,ha contribuito a sviluppare in lui l'idea di uno spazio complesso ed articolato.

Infine,è importante sottolineare che “Castrovalva” fu considerata dai critici dell'epoca (1930) come l'apice della produzione dell'artista e che in essa sono presenti molti elementi tipici delle sue produzioni successive, come la fuga verso l'orizzonte ed il passaggio ininterrotto da una forma all'altra (che qui si modula dal monte alla collina e dalla valle al piano).

Mano con sfera riflettente 1935, litografia
cm 31,8x21,4cm






Mano con sfera riflettente, litografia realizzata nel 1935, è l'opera più nota della celebre serie degli “autoritratti con sfere riflettenti”; probabilmente, nella sua composizione, Escher si ispirò al ricordo di famose opere di maestri del passato (come Van Eyck, Petrus Christus, Parmigianino) in cui lo specchio convesso è elemento chiave della rappresentazione.


L'artista olandese,infatti, imposta la composizione in modo che lo spettatore finisca per sentirsi nella stessa posizione in cui si trovava l'artista mentre ritraeva (cioè davanti alla superficie convessa); egli inoltre,gioca sull'ambiguità della mano a sostegno della sfera per far si che l'osservatore si identifichi con l'autore stesso, rendendolo partecipe dell'immagine che ha lui di sé e della sua realtà.

E tale realtà viene riflessa e raddoppiata attraverso la sfera che egli ha in mano, che quasi ci “parla”,stabilendo un contatto con l'osservatore; sicuramente,con la realizzazione di tale opera, l'artista ha voluto rendere un impressione indelebilmente duratura nel tempo, anche attraverso la trasposizione su un supporto materiale.

Del resto,anche il centro del “mondo riflesso” sicuramente non è casuale : esso è l'occhio dell'artista, esattamente fisso nello sguardo di chi lo osserva.


Metamorfosi II 1939-40 , xilografia a quattro colori, 20 cm x 4 m



Metamorfosi II è una delle più lunghe xilografie a colori mai realizzate; essa è costituita da un unico foglio,largo poco meno di venti centimetri, che si estende per quasi quattro metri.

Nell'estremo sinistro dell'opera è visibile la parola metamorphose, che si incrocia con la sua ripetizione all'altezza delle “o”; inoltre, tale termine si ripresenta all'estremo opposto, dopo il passaggio per una miriade di forme che,senza soluzioni di continuità, trapassano dalla rappresentazione di una lucertola a quella del favo di un alveare. Da tale alveare, fuoriescono delle api nere che, intersecandosi con dei pesci bianchi, si trasformano per contrasto in colombi neri; in modo quasi impercettibile, inoltre, le pinne laterali dei pesci assumono le sembianze di colombi rosse, mentre gli stessi pesci si trasformano in pappagalli. La presenza dei tre volatili e la loro compenetrazione danno vita a cubi prospettici dalle facce nere e rosse che andranno a costituite le facciate di edifici abbarbicati su un litorale scosceso ( tale paese è in realtà Atrani,situato nella penisola sorrentina e visitato dall'artista durante i suoi viaggi in Italia).

Infine vi è una sorta di ponte sul mare che collega la terraferma con una torre d'avvistamento( utilizzata in passato per l'avvistamento dei Saraceni), trasforma il pelago in una scacchiera verde e bianca (in cui i vari pezzi sono disposti a scacco matto al re nero); ritorna quindi il motivo del quadrato che ci riporta al punto di inizio con l'incrocio delle scritte metamorphose.

In tale opera non vi è quindi confine tra il mondo animato e quello delle cose,fra oggetti ed animali; inoltre, l'impressione generale che ne risulta è quella di una trasposizione da una forma all'altra disordinata ed inquietate ma continua e capace di affascinare l'osservatore.


Occhio 1946, mezzatinta
cm 15,1x20,3 cm



L'artista ha spiegato che in tale opera ha voluto rappresentare “ il suo occhio notevolmente ingrandito in uno specchio concavo. La pupilla riflette l'immagine di colui che guida noi tutti” : nella pupilla, infatti, è chiaramente visibile un teschio ,che allude al destino dell'uomo e alla tragicità della vicenda umana.

Inoltre tale opera è stata realizzata con la tecnica della mezzatinta, appresa durante il viaggio in Spagna: grazie ad essa egli ha potuto realizzare un disegno netto e preciso,caratterizzato dalla prevalenza cromatica del nero,delle sue sfumature e della sua assenza.


Alto e basso 1947, litografia, 50,5 x10,5 cm



In quest'opera l'autore ci mostra il medesimo ambiente da due punti di vista diversi, al fine di ottenere un sorprendente effetto dentro-fuori:

nella metà superiore,infatti, il punto di vista coincide con il terzo piano dell'edificio,il quale si apre su un cortile adornato da una pianta ; al contrario, nella metà inferiore, il medesimo edificio viene rappresentato come se fosse visto dal cortile, luogo in cui un ragazzo osserva la donna affacciata alla finestra.


Inoltre, per rappresentare uno spazio così dilatato in una superficie tanto ristretta, Escher utilizza una “deformazione prospettica” assolutamente innovativa per la sua epoca; la prospettiva adoperata è quella curvilinea,già studiata dall'artista per la realizzazione delle sfere riflettenti [ tale effetto può essere paragonato ad un particolare obbiettivo fotografico,il fish eye, che deforma lo spazio in senso curvilineo]. Adottando tale tecnica, l'artista olandese imposta uno spazio curvilineo tale da convergere al livello del pianerottolo ( infatti in quel punto arrivano tutte le linee della scena superiore che inferiore.


Tuttavia Escher si diverte anche a lasciare un alone di mistero: infatti dul pianerottolo si apre una rampa di scale, che fa intendere all'osservatore che da quel punto è possibile scendere ancora.


Drago 1952, xilografia su legno di testa
cm 32,2x24,2

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La xilografia “Drago” riprende il tema antico dell' “ouroboros”, cioè del serpente che si morde la coda; l'artista ha sicuramente tenuto conto,infatti, di tutto quel sistema simbolico che la tradizione ha collegato a tale icona : infatti le anse del corpo del fantastico animale si annodano come a formare il simbolo dell'infinito,simbolo del tutto coerente col significato d'eternità che viene attribuito tradizionalmente a questa figura.

Va anche aggiunto a tale analisi che le zampe del drago artigliano una formazione composita di cristallo roccioso, riconoscibile per i numerosi prismi esagonali che terminano in piramidi a sei facce; i vari simboli ricorrenti in tali immagine,mostrano il profondo legame tra Escher e il mondo alchemico,mondo che lo ha sempre affascinato ed influenzato nel corso della sua carriera. Tale legame risiede nel fatto che gli alchimisti vedevano nelle pietre e nei cristalli la metafora tangibile della più pura conoscenza ,arrivando ad identificarli con lo stesso Cristo (detto anche lapis,cioè pietra e quindi assimilato alla pietra filosofale).

Probabilmente Escher non era a conoscenza di tali complessi simbolismi ma fornisce un consapevole,o inconsapevole, inganno,centrando appieno il tema simbolico ed arricchendolo ,a sua volta, di una nuova simbologia.

Planetoide tetraedrico 1954,xilografia a due color, 43 x 43 cm






In quest'opera, Escher si diverte a trasformare un solido geometrico in una sorta di piccolo universo urbano composto da due facce, di cui una di terra e una d'acqua; inoltre, esso fluttua nel vuoto di un cosmo totalmente nero, circondato da un'atmosfera “ sferica” . Solo due delle superfici triangolari che lo compongono risultano visibili ( i loro contorni suddividono in due il disegno) e tutte le linee verticali (che compongono i muri,le case, gli alberi etc.) sono dirette verso in nucleo del corpo,che è, in un certo senso, il centro di gravità del “planetoide” .

L'artista, in questo modo, cerca di coniugare la trama perfetta del mondo matematico e geometrico in un universo all'apparenza caotico; egli,a questo proposito, durante il conferimento di un premio nel 1965, ha affermato:

Nei miei quadri cerco di rendere testimonianza del fatto che viviamo in un mondo bello e ordinato,non in un caos senza regole come a volta può sembrare”

Del resto Escher, nella concretizzazione di leggi matematiche e geometriche, scorge il riflesso dell'insondabilità del mistero della vita,dell'uomo, del cosmo; egli n'è convinto al punto da affermare che la bellezza e l'ordine dei corpi regolari sono irresistibili”.

Concavo e convesso 1955, litografia, 27,5x33,5






Osservando l'opera con uno sguardo superficie e disattento, potrebbe sembrare che la struttura architettonica (che consta di archi, colonne, volte, mensole e popolata da varie figure) sia coerente con una rappresentazione realistica del soggetto; tuttavia, guardando con più attenzione, si comprende come vi siano soluzioni geometriche che ricercano situazioni limite,in cui la percezione spaziale risulta assolutamente incerta.


Anche se le due metà del disegno presentano una costruzione simile, in realtà esse sono molto diverse: una prova lampante ne è il fatto che la parte di sinistra è rappresentata dall'alto mentre quella di destra appare vista dal basso.

Ciò genera una diversa percezione del soggetto,a seconda del punto di vista adottato: così quelle che secondo la prospettiva dall'alto sembravano scale, cambiando prospettiva divengono sostegni di una mensola su cui una lucertola si arrampica; inoltre anche l'invaso con il punto di vista di sinistra sembra concavo mentre con l'altro sembra sporgere, la colonna,che prima sosteneva un tetto,ora sostiene una volta e quelle che erano le scale del ponte a sinistra,a destra divengono l'imposta di un arco.

Descrivendo ancora alcuni dettagli di tale litografia, vi è una piccola cappella di cui è visibile una copertura a vela incrociata; verso di essa da un lato, sale un signore su una scala a pioli mentre sull'altro vi è un uomo rannicchiato. Al centro,invece, vi è un invaso a forma di fiore stilizzato mentre in basso si aspre una semicirconferenza su cui sale una lucertola.


Il disegno,in definitiva, sfrutta la capacità delle ombre sfumate di dare l'impressione di una superficie solida sia concava che convessa, a seconda dell'orientamento della zona luminosa

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Cubo con nastri magici 1957,litografia, 31x30.5



Tale capacità delle onde sfumate,viene sfruttata anche nell'opera Cubo con nastri magici; gli elementi ornamentali,costituiti da protuberanze a forma di bottone,appaiono ora concavi ora convessi,a seconda dell'influenza del disegno sul nostro cervello [ un orientamento orizzontale della luminosità lascia continue incertezze nell'osservatore ed Escher ne è pienamente consapevole].

Un altro aspetto fondamentale di quest'opera,inoltre, è che essa rappresenta un cosiddetto “oggetto impossibile” : il “nastro magico” fa parte appieno di tale categoria poiché i due elementi che lo compongono risultano fusi nei punti d'incrocio; ciò genera “l'illusione” che i nastri siano ambiguamente e contemporaneamente avanti e dietro l'uno rispetto all'altro.

Belvedere 1958, litografia
cm 46,1x29,5



L'opera risulta inscindibilmente legata a ciò che, nella descrizione delle opere di Escher , viene definito un “oggetto impossibile” : essa infatti contiene, sia a livello macroscopico che in alcuni particolari,delle ambiguità rappresentative facilmente rintracciabili.

Ad esempio,nelle mani del personaggio seduto sulla panca, è possibile scorgere un cubo che appare come se fosse visto contemporaneamente sia dall'alto che dal basso [ l'espediente utilizzato dall'artista risulta abbastanza semplice: egli infatti fa passare il lato di fondo della base del cubo anteriormente invece che posteriormente; inoltre,per chiarezza, segna su un foglio,collocato poi ai piedi del personaggio,i punti che alterati generano tale ambiguità ].

Tale ambiguità riscontrata nel “piccolo” cubo, potrà essere ritrovata nella stessa architettura del palazzo che funge da scenario per la litografia : tale struttura architettonica, infatti, è costruita con la medesima ambiguità con cui il cubo è stato reso un “oggetto impossibile”; ad esempio, la colonna del primo piano che si erge subito dopo la scalinata avrebbe dovuto insistere sulla balaustra di fondo e non su quella in primo piano e,viceversa, quella sullo sfondo non avrebbe dovuto sostenere l'arco in primo piano. In questo modo Escher riesce a rendere tale architettura un macroscopico “oggetto impossibile”.

Predestinazione (Mondo sottosopra) 1958, litografia, 29x42




In “predestinazione”, Escher sceglie come soggetto un immagine fantastica quanto improbabile: egli infatti rappresenta l'incrocio tra uno stormo di candide oche e un branco di pesci neri in volo, pronti ad azzannare al momento propizio un ignara oca.

Nonostante l' intento prettamente ludico di tale opera, non va tralasciato il fatto che l'autore abbia disegnato i pesci con un tratto particolare, probabilmente al fine di evidenziarne il carattere negativo e aggressivo,quasi demoniaco.

In quest'ottica il dipinto potrebbe essere interpretato come una sorta di rappresentazione dell'eterna lotta tra bene e male : l'idea di infinità è richiamata infatti dal moto degli animali, che non possiede un inizio ed una fine definita, e il loro stesso colore suggerisce la sconto tra entità agli antipodi.

[ N. l'impianto geometrico di tale opera è stato anticipato con una serie di ricerche grafiche sul “nastro di Moebius”].