www.marcomarcucci.com
il sito di Marco Marcucci
Caterina, aquerello, 50x70, 1999

Acquarelli_____Links_____Controinformazione_____News____Liceo "P. Levi"______Spettacoli_____Gif e Jpeg_____HTML_____Storia dell'arte

Edvard Munch 

Loten 1863 - Ekely 1944


Testo di Michelangelo Pettorossi



vai a Biografia........vai a Opere........torna al Menu artisti

Ritratto della sorella Inger: 1884, olio su tela, cm 97x67, Oslo, Nasjonalgalleriet ritratto della sorella inger 1884
Nel ritratto di Inger, la più giovane fra le sorelle di Edvard, l’influenza dei maestri è palese. La ragazza è raffigurata di tre quarti, con una mano abbandonata lungo il fianco, mentre l’altra pare sfiorare un’invisibile superficie. La figura è mostrata in leggera torsione, con la testa girata verso destra rispetto alle spalle e gli occhi fissi su qualcosa che è al di fuori dell’inquadratura. La scena acquista in tal modo una dimensione dinamica e Inger sembra avanzare pensierosa, o essersi fermata soltanto un attimo per poi riprendere a camminare. La suggestione è potenziata dall’effetto di vibrazione della pellicola pittorica, che pare tremolare sotto una luce mobile. Lo sfondo, con una scelta caratteristica dei dipinti naturalisti, è nero, così come neri sono l’abito elegante indossato dalla giovane donna e il nastro che ne trattiene i capelli sciolti. La sobrietà dell’abbigliamento è ravvivata dalla trasparenza dei polsi e dalla spilla che ferma la scollatura. Il raffinato effetto di nero su nero è spezzato dal rosa della carnagione, cui l’artista conferisce in tal modo eccezionale risalto, portando a concentrare l’attenzione dell’osservatore sul viso e sulle mani, cui è affidata la psicologia della figura. Nonostante l’espressione assorta, Inger appare vivace e decisa e il ritratto diventa una via di mezzo tra un’immagine ufficiale e una famigliare, in cui Munch raffigura la sorella con una delicata partecipazione emotiva.


Il mattino. Ragazza sul bordo del letto: 1884, olio su tela, cm 96,5x103,5, Bergen, Rasmus Meyers Samlinger, Bergen Kunstmuseum.
ragazza sul bordo del letto
Nel  dipinto qui presentato, realizzato a Modum, Munch intendeva richiamare alla mente le scene di Monet e Renoir, la loro intenzione di catturare l’impressione di una determinata ora del giorno. La luminosità del mattino, infatti, è il vero soggetto dell’opera. Lo sguardo della ragazza è rivolto alla finestra, e l’artista studia i riflessi luminosi sugli oggetti in vetro, il vassoio, la tenda bianca, la testata del letto, i capelli e la pelle della protagonista, che si tinge di sfumature rosse, bianche, blu. Nell’accostamento delle due tinte, l’opera ricorda forse Nana, realizzata nel 1877 da Manet. Anche nel trattamento della superficie pittorica e nella scelta del soggetto si il dipinto si riallaccia ai lavori del grande maestro francese, in bilico tra realismo e impressionismo. Non a caso, Munch non rappresenta un paesaggio, bensì una scena d’interni e la raffigurazione della ragazza, che sospende il gesto di infilarsi una calza per osservare con aria sognante la luminosità del sole mattutino, riecheggia le opere naturaliste.
Tete-à-tete: 1885, olio su tela, cm 66x76, Oslo, Munch-museet. tete a tete
Il dipinto evoca esattamente l’atmosfera dei caffè dove si svolgevano le lunghe e animate discussioni politiche del gruppo. A un tavolo del locale, colti in un’inquadratura ravvicinata, siedono un uomo e una donna. I loro sguardi si incrociano e, piuttosto che in una conversazione, sembrano impegnati in una schermaglia galante. L’uomo, con la pipa in bocca, si sporge verso la compagna, che pare invece scostarsi, ma volgere nello stesso tempo i propri occhi su di lui. Questi, come il resto del viso, sono velati dal fumo azzurrognolo della pipa, che si trasforma in una sorta di impalpabile quanto allusiva veletta. In primo piano, appoggiato al tavolo, Munch ha raffigurato due bicchieri, vuoto quello della donna, ancora mezzo pieno quello dell’uomo, forse un’ironica allusione alla coppia. L’accordo cromatico è ristretto a pochi colori, soprattutto alle gamme di blu e di bruni. La pennellata è mobile, vivace e l’artista gioca sul contrasto tra il volto in piena luce dell’uomo, la cui schiena pare invece sfaldarsi nella semioscurità, e quello in ombra della donna. Il trattamento trascurato dei dettagli, spesso criticato dalla stampa tradizionalista, contribuisce efficacemente a rendere l’atmosfera fumosa del locale. 
Ritratto della sorella Inger: 1892, olio su tela, cm 172x122,5, Oslo, Nasjonalgalleriet. sorella Inger Inger è rappresentata a figura intera; i suoi piedi sono però invisibili, coperti dalla gonna, e il personaggio pare fluttuare sul pavimento. Ha una posa rigidamente frontale. I capelli sono raccolti e la scriminatura li divide in due perfette metà, richiamando la rigida verticale del naso e del resto del corpo. Il vestito, dalla stoffa spessa e impenetrabile, la copre fino al collo, lasciando vedere soltanto le mani e il volto. Le mani sono allacciate e gli occhi si posano, apparentemente assenti, sull’osservatore: la figura, immobile e composta, sembra quasi una tavola di cera, priva di vita. Eppure lo sguardo di Inger pare rivolgerci un muto interrogativo: la sua espressione è magnetica, come se, l’artista ci obbligasse a scrutare dentro noi stessi.  
Ha una forma piatta, bidimensionale e le forme vengono chiuse dentro precisi contorni, tanto che la figura di Inger appare una sagoma priva di volume.soltanto per la parete di fondo è utilizzata una pennellata irregolare, che la trasforma in una sorta di enorme, inquietante ombra.
Sera sul viale Karl Johan: 1892, olio su tela, cm 84,5x121, Bergen, , Rasmus Meyers Samlinger, Bergen Kunstmuseum. viale Karl Johan Il quadro ha un’intonazione lugubre: insieme alla sera, sulla strada sembra essere calato un silenzio tombale e la folla si è trasformata in un corteo spettrale. Le figure, ridotte a un’anonima, compatta falange, paiono marciare direttamente su di noi. Il nero degli abiti è contrapposto al pallore dei volti, su cui spiccano occhi bianchi e dilatati, evidenziati dalle sopracciglia. Un piacevole rito sociale evidenzia così una doppia natura, quella dedll’alienazione e dello spaesamento dell’individuo. Anche le case assumono un’apparenza minacciosa: sono le stesse abitazioni dall’aspetto signorile dove si consuma il dramma famigliare di casa di bambola di Ibsen, in cui la vitalità della protagonista è schiacciata da convenzioni che appaiono prive di senso.  Dal simbolismo deriva la tensione che pervade il dipinto e la stesura pittorica compendiaria, dall’apparenza non finita.
Il grido: 1893, tempera su cartone, cm 83,5x66, Oslo, Munch-museet. urlo Si tratta dell’immagine che meglio di qualunque altra condensa, con una potenza visiva inaudita, il senso dell’irrimediabile perdita dell’armonia tra uomo e cosmo, spingendo tale consapevolezza fino a un punto di non ritorno. Ogni residuo di realismo viene completamente dismesso, la natura e i colori esistono in funzione di una percezione interiore, ogni cosa diventa specchio dell’anima. Tutto si riferisce alla perdita di equilibrio, dalle linee che ondeggiano pericolosamente, sul punto di essere quasi risucchiate da un vortice, al ponte che sembra scivolare verso l’osservatore. La raffigurazione diventa emblema del dolore universale. La creatura che si volta in primo piano,sbarra gli occhi e porta le mani alle orecchie per non udire un urlo che è al contempo suo e del mondo circostante, è l’immagine di ogni essere umano, senza sesso, senza razza, senza età, ridotto ai minimi termini tanto, che il corpo stesso ondeggia. La forza della visione è potenziata dalla scelta di far tagliare l’inquadratura dal margine inferiore del supporto, annullando così ogni mediazione tra il mondo dipinto e quello reale.  
Pubertà: 1893, olio su tela, cm 149x112, Oslo, Munch-museet. puberta Il dipinto rappresenta la scoperta della sessualità nell’adolescenza, ovvero l’inizio della pulsione che ha per Munch lo stesso potere di distruzione della morte. L’ambientazione si riduce a un letto spoglio, che acquista la consistenza di una superficie dura e fredda, sul quale una giovane siede nuda: il pavimento e la parete di fondo sono scabri e volutamente non finiti, privando così la stanza di qualsiasi senso di accoglienza e famigliarità. La giovane età della protagonista è evidente nel viso infantile, così come nelle forme acerbe del corpo. Lo sguardo, velato di un vago sentore di malinconia, è fisso nel vuoto, mentre il volto è illuminato da una luce gialla, artificiale, che tende a trasformarlo in una maschera. La ragazza incrocia le mani tra le ginocchia, coprendo la fonte del suo turbamento. La sua ombra si allunga sul letto, ingigantendosi a dismisura dietro di lei. La macchia scura sul muro si trasforma così in una presenza minacciosa, i cui significati simbolici si moltiplicano. Essa allude alla rivelazione dell’angoscia esistenziale che si accompagna al risveglio dei sensi, al destino tragico che incombe inevitabilmente, secondo Munch, su chi ama, ma anche al potere terribile e nefasto che il pittore attribuisce a ogni donna. Munch ne mostra il lato oscuro, privandola di ogni incanto. 
La bambina malata: 1896, olio su tela, cm 121,5x118,5, Goteborg, Konstmuseum. la bambina malata I colori sono intensi e la scena è poco rarefatta, la superficie appare graffiata, sofferente essa stessa, gli occhi stanchi, la bocca della sorella tremante. Le linee verticali richiamano le ciglia di Munch, che avevano influenzato la visione, e l’impatto emotivo del dipinto è altissimo. Le due donne, sebbene unite dall’incontro delle mani, appaiono chiuse in un dolore personale e incomunicabile, segnato dalla consapevolezza dell’approssimarsi della morte.  

La Roulette: 1892, olio su tela, cm 75,5x115,5, Oslo, Munch-museet.

la rulette

È rappresentato in primo piano, di schiena e in profilo perduto, un giovane intento a studiare una tabella: le linee del suo volto sono indistinguibili e l’uomo appare completamente assorbito dal gioco come gli altri scommettitori assembrati intorno al croupier. Sono riuniti intorno al tavolo verde che sembra calamitare, risucchiare l’attenzione degli astanti. Il centro della rappresentazione non è la ruota in movimento della roulette, bensì il tappeto con le puntate, illuminato dalla lampada verde. Il mondo del Casino diventa un frenetico caleidoscopio e la scelta di tagliare “a vivo” le figure, interrotte dal termine della tela, ha l’effetto di comprimere lo spazio. La scena appare eccitata e contemporaneamente soffocante, volti abiti cappelli si susseguono anonimi e contemporaneamente ansiosi. L’artista adotta una pennellata fluida e rapida, che restituisce l’atmosfera surriscaldata della sala.

Malinconia: 1892, olio su tela, cm 64x96, Oslo, Nasjonalgalleriet.

malinconia

Il dipinto prende spunto da una circostanza autobiografica. Le tre figure visibili in lontananza e la barca alla rada derivano dalla realtà. Munch raccontava come la donna lo avesse fatto ripensare una relazione ormai conclusa. Nel dipinto la sensazione è affidata all’accordo cromatico e alle linee ondulate del paesaggio, ma, più ancora, all’atteggiamento del giovane raffigurato in primissimo piano, rivolto all’esterno della scena. Non ha i tratti di Munch: pur se legata a un’esperienza personale, infatti, la tela diventa il simbolo universale della malinconia, intesa come emozione comune a tutti gli esseri umani. Il paesaggio che si allarga alle sue spalle sembra materializzarne i pensieri, costituire una visione puramente interiore.

La morte nella stanza della malata: 1893, olio su tela, cm 136x160, Oslo, Munch-museet.

la morte nella stanza della malata

Il dipinto si riferisce alla scomparsa della sorella maggiore Sophie, avvenuta nel 1877: Sophie, di cui si intravede solo un braccio, è nascosta dallo schienale della sedia rivolta verso il muro, accudita da Karen Bjølstad, la zia che aveva assistito i bambini Munch dopo la morte della madre; il padre piega il volto sulle mani giunte; il fratello Andreas – che morirà di polmonite nel 1895 – si appoggia al muro sostenendosi con una mano; in primo piano è seduta Laura, mentre Inger, rivolge allo spettatore uno sguardo fisso, reso assente dal dolore; Edvard, infine, è alle sue spalle, girato verso la sorella morente. Protagonista del dipinto è la morte. È l’evento psicologico, piuttosto che quello fisico, a essere rappresentato. Se si eccettua la figura di Inger, la quale, attraverso il viso scavato e gli occhi arrossati dal pianto, stabilisce un contatto con l’osservatore, i personaggi sono senza volto, ridotti a ombre di loro stessi. Al pittore non interessa la narrazione della scomparsa di Sophie, ma la descrizione dello stato di prostrazione e solitudine dei singoli membri della famiglia. Il dolore non gli accomuna bensì li distanzia, ognuno è chiuso nel proprio cordoglio e da esso svuotato, annientato. Anche l’arredamento è ridotto ai minimi termini e la disperazione trova un’eco nelle grandi superfici vuote del pavimento e della parete di fondo. Significativamente, le diverse figure non sono rappresentate all’età che avevano all’epoca dell’avvenimento, ma a quella del 1893, data di esecuzione del dipinto. In tal modo il dramma si consuma al presente e la famiglia appare marchiata per sempre dalla morte di Sophie.

Notte a Saint-Colud: 1893, pastello su tela, cm 78,5x73,5, Oslo, collezione privata.

notte a saint colud

Il dipinto rievoca lo stato d’animo di profonda prostrazione di Munch, appreso della morte del padre. La scena è ambientata nell’alloggio del pittore a Saint-Cloud, un sobborgo sulle rive della Senna. L’occhio dell’osservatore pare addentrarsi in un mondo privato e spiare la solitudine malinconica dell’uomo in ombra, che guarda verso la Senna. La finestra proietta a terra un’enorme croce, motivo evidentemente simbolico. L’atmosfera malinconica è accentuata dalla riduzione quasi totale della tavolozza alla bicromia azzurro-marrone. L’artista aveva scritto nel “Manifesto di Saint-Cloud”: non ci saranno più scene di interni con prsone che leggono e donne che lavorano a maglia. Si dipingeranno esseri viventi che hanno respirato, sentito, sofferto e amato”.

La Voce: 1893, olio su tela, cm 90x120, Oslo, Munch-museet.

la voce

Si tratta di un dipinto simbolico. In una luminosa notte di luna piena due barche galleggiano sul mare; davanti all’acqua si stendono una striscia di spiaggia e un bosco; tra gli alberi una giovane donna guarda verso l’osservatore: il volto e gli occhi sono completamente in ombra e i capelli lunghi scendono sulle spalle. La ragazza non è reale, bensì incarna la tentazione erotica; il suo corpo proteso in avanti è la Voce che chiama, che attira verso il buio del bosco. Munch descriveva l’amore come una lotta, in cui l’uomo finiva per soccombere al potere della seduzione femminile e avvertiva che gli occhi invisibili della donna comunicano il pericolo di morte. La ragazza è vestita e la carica sensuale resta implicita, affidata interamente al senso di attesa e di tensione silenziosa, al contrasto tra le forme sinuose del corpo e la verticalità dei tronchi, cui fanno eco l’andamento ondulato della spiaggia e il riflesso della luna sull’acqua – striature luminose che creano uno stacco visivo, isolando il primo piano. L’opera fa parte del “Fregio della vita”, in cui Munch avrebbe riunito i suoi quadri principali, così da illustrare il travaglio dell’amore, la paura di vivere e la morte, ovvero le situazioni e le emozioni che attraversano l’esistenza di ognuno.

Le Mani: 1893, olio su tavola, cm 91x77, Oslo, Munch-museet.

le mani

La donna è ora rappresentata in tutto il suo potere. Ogni ambientazione è soppressa e l’artista mette in scena una raffigurazione esclusivamente psicologica. La figura non ha tratti individualizzati, ma simboleggia l’essenza della femminilità munchiana: le labbra rosse, gli occhi in cui si addensa l’ombra, il corpo seminudo mostrato nell’offerta della sensualità. La componente erotica è accentuata dalla posizione delle braccia, incrociate dietro la testa, e dal vestito che scivola sui fianchi, che lascia intravedere senza mostrare completamente. Il pittore sceglie una cromia scura e una resa pittorica cruda, quasi brutale; il supporto non viene preparato e Munch non lo dipinge completamente. Dai margini del quadro si protendono verso il corpo della donna enormi mani che sembrano provenire direttamente dal nostro spazio.

Vampiro: 1893-1894, olio su tela, cm 91x109, Oslo, Munch-museet.

vampiro
Il dipinto trasforma un momento di tenerezza in uno di terrore. Non soltanto, infatti, l’abbraccio della coppia è pieno di disperazione – nell’ambiente spoglio, nell’annullamento dei tratti dei volti, ma anche nella contrapposizione tra la donna nuda e l’uomo vestito; diventa una scena di morte. La protagonista diventa un demone che getta una maledizione sulla vita del compagno, uccidendolo a poco a poco. Nella tavolozza, ristretta a poche sfumature di neri e bruni, il rosa del braccio nudo e le ciocche rosse dei capelli acquistano eccezionale evidenza, accentrando l’attenzione sulla figura femminile. In un’immagine essenziale quanto pregnante l’artista ha insomma dato forma al binomio greco di Eros e Thanatos, Amore e Morte, facendo però coincidere quest’ultima con la donna stessa, che diventa l’agente della distruzione.