Appunti di Storia dell'arte

Dipartimento di Disegno e storia dell'arte del Liceo "Primo Levi" di San Donato Milanese

Sironi e il Novecento

















 Sironi, Il camion giallo. 1918

 Sironi, venere dei pori, 1916

Sironi, Paesaggio urbano, 1921

Sironi, L'allieva- 1924

Sironi, L'architetto-1922

Sironi, Paesaggio urbano

Sironi - Paesaggio urbano, 1926

Aula Magna del Rettorato con il dipinto murale di Mario Sironi  L'Italia fra le Arti e le Scienze

Sironi, L'Italia corporativa.jpg

Sironi, Vetrata al Ministero delle Corporazioni, ora Ministero dello Sviluppo Economico

Mosaico al foro italico

Sironi, La giustizia

Sironi, Gasometro, 1942

Il gruppo Novecento

Il termine Novecento fu applicato per la prima volta ad un gruppo di pittori nel 1922 da Anselmo Bucci. Il gruppo era formato da Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Achille Funi, Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e appunto Mario Sironi. Il gruppo fu sponsorizzato da Margherita Sarfatti che riceveva nel proprio salotto milanese molti di questi artisti ed altri intellettuali e giornalisti. La Sarfatti, di origine ebrea, era una delle collaboratrici fin dalla fondazione del quotidiano Popolo d'Italia ed amica di Mussolini.

L'intenzione era pragmaticamente quella di riportare Milano in prima linea come sede di movimenti artistici importanti in competizione con Firenze e Roma.
Il termine Novecento lentamente prese il significato di semplificazione formale con citazioni classicheggianti puriste e una certa dose di monumentalità. Negli anni '30 per stile Novecento si intendeva lo stile moderno ma non riigorosamente funzionale, non immune da caratteri di rappresentatività retorica. Nel sentire comune invece si intendeva il gusto dinamico, veloce, audace della nuova società giovane, sportiva, spregiudicata. (da Rossana Bossaglia: Sironi e il Novecento, Giunti)

La tendenza generale europea dell'arte nell'immediato dopoguerra era di un riassetto formale, dopo le dissacrazioni avanguardiste, che riproponesse valori di equilibrio e armonia, di chiara leggibilità e iconografia tradizionale. In Francia questo sentimento si chiamava rappel a l'ordre.
In Italia l'esperienza avanguardista veniva superata ma non rinnegata e nel fare appello a valori tradizionali non si cercava tuttavia un ritorno all'arte ottocentesca.
La prima uscita pubblica fu alla galleria di Lino Pesaro a Milano nel 1923: Sette pittori del Novecento. Poi nel 1924 alla Biennale di Venezia (Sei pittori del Novecento, Oppi espone da solo). La mostra alla biennale di Venezia venne commentata così dalla Sarfatti nel catalogo:
Deità lungamente profughe, ecco ora le idee generali. le idee maestre, ritornare al dominio delle arti plastiche. Sei giovani pittori[...]pensarono di stringersi in manipolo per meglio circoscrivere i diritti della pura visibilità.[...] E' consolante il constatare che la ricerca stessa li conduce, come per mano, verso ideali sempre più chiari e definiti di concretezza e semplicità. La maniera di mario Sironi, nato di famiglia lombarda a Sassari nel 1885, sopra ogni cosa tende sempre, alla sintesi della forma.

Continua la Sarfatti su Sironi: Nei suoi disegni satirici del Popolo d'Italia la stilizzazione, rude e squadrata, procede per masse apodittiche , quasi tipografiche, di bianco e di nero; non si direbbe lo stesso artista che nei quadri arpeggia tanto duttilmente sui grigi e sui lionati, mentre dalle vellutate penombre e prospettive d'archi fuggenti, emergono figure miliebri, e sorridono con gravità.

La corrente diventò velocemente non una corrente di una certa parte politica ma un movimento nazionale, rappresentativo della scuola italiana. La mostra forse più imortante fu quella del 1926 alla Permanente di Milano: Prima mostra del Novecento italiano inaugurata da un discorso di Mussolini. Più di cento artisti parteciparono alla mostra. Oltre agli artisti del gruppo parteciparono anche Carrà, Casorati, Campigli, de Chirico, Guidi e Soffici. Lo stile realistico-magico, più o meno venato d'intimismo, o arcadicamente volta a celebrare valori semplici, risultò vincente. La mostra ebbe un successo eccezionale, anche di vendite.

Il discorso di inaugurazione di Mussolini è abbastanza equilibrato e poco fascista: [...] quale rapporto intercede tra la politica e l'arte? Quale tra il politico e l'artista?[...] Entrambi inseguono un ideale che li pungola e li trascende.[...] non v'è incompatibilità fra un uomo politico e l'arte del suo e di altri popoli, del suo e di altri tempi. Mussolini dice poi che gli artisti si sono chiamati del Novecento non per puro fatto cronologico ma perchè seguono un determinato indirizzo artistico e proseguendo la ricerca già compiuta dai futuristi intendono di essere e di rappresntare qualche cosa per se stessi. Mussolini si rammarica che nelle opere non sia rappresentata mai, a parte un caso, l'esperienza della Guerra e del fascismo. Salvo il quadro "A Noi", futurista, non c'è nulla che ricordi o ohimè- fotografi- gli avvenimenti trascorsi o riproduca le scene delle quali fummo in varia misura spettatori o protagonisti. Lui apprezzava la precisione del segno e la nitidezza del colore, la solida plasticità delle cose e delle figure.

La Sarfatti si diede molto da fare per far conoscere all'estero la nuova arte italiana, con buoni risultati: negli anni '20 e '30 furono numerose le mostre all'estero dedicate al Novecento italiano.

La seconda mostra nel 1929, sempre a Milano, non vide la presenza di rappresentanti ufficiali del governo. La mostra ebbe ancora un buon successo e la partecipazione di un centinaio di artisti, compresi Carrà, Morandi,Severini, Francesco Messina, Marino Marini e Arturo Martini.

Fu a questo punto che Mario Sironi si portò in primo piano, prendendo in mano le redini del movimento e lanciando l'ipotesi nuova e coraggiosa della pittura murale; che, sia sotto il profilo stilistico (un neoarcaismo dai tratti sinteticamente ascetici) sia sotto quello ideologico (l'arte come discorso pubblico e politico, contro la privatizzazione del quadro) costituiva una profonda evoluzione della formula novecentista (Rossana Bossaglia, op. cit.).

D'altronde una pittura monumentale e realistica stava allargandosi sia in Europa che in USA. La vena del movimento Novecento andava però ad esaurirsi negli anni '30. Il movimento, come organizzazione ufficiale, si spegne nel 1934 in seguito alla secessione di un buon numero di artisti che nel numero del 26 luglio del quotidiano milanese "L'Ambrosiano" proponevano di fondare una nuova accademia. La partenza di Margherita Sarfatti nel 1938 in seguito alle leggi razziali (era di origine abraica Veneziana da parte di madre: Grassini) mise fine definitivamente al gruppo.

Il percorso di Sironi

Sassari, 12 maggio 1885 - Milano 13 Agosto 1961

Sironi studia a Roma, fino ad iscriversi a Ingegneria, poi frequenta saltuariamente l'Accademia di Belle Arti. Conosce Giacomo Balla, Boccioni e Severini e dunque nei primi anni del secolo rientra nel novero dei pittori che stavano evolvendo l'esperienza divisionista - o genericamente postimpressionista - nella direzione del futurismo. Viaggia molto tra Milano, Parigi e la Germania e dal '14 si trasferisce definitivamente a Milano, prendendo parte al movimento futurista. Allo scoppio della guerra si arruola volontario nel battaglione lomdardo ciclisti.

Durante la guerra e dopo Sironi diventa illustratore di giornali e riviste: Il Popolo d'Italia, Noi e il mondo, Gli avvenimenti, Le industrie italiane illustrate.. La sua prima mostra personale è del 1919 a Roma. La sua produzione dei primi anni venti mantiene caratteri delle avanguardie, che tendono ad assumere via via toni monumentali. Sono di questi anni le prime periferie urbane, veri capolavori del suo percorso artistico e segno caratteristico: Il camion giallo del 1918, Paesaggio urbano del 1921, Periferia del '22 e Paesaggio urbano del '22. Insieme ad opere come L'architetto del 1922 e L'allievadel 1924 e Solitudine del 1925 rappresentano il culmine artistico della prima fase della ricerca di Sironi.

Queste opere raggiungono un equilibrio perfetto tra purismo novecentista (semplificazione delle forme, plasticità dei corpi e chiarezza iconografica), retaggio dell'avanguardia e proposta di valori assoluti fuori dal tempo. Le sue periferie evidenziano chiaramente la solitudine dell'uomo moderno e la solitudine del cittadino in questi ampi spazi vuoti eppure soffocanti della città. Con una capacità di mescolare il retaggio metafisico alla de Chirico con il realismo magico di contemporanei artisti americani (Hopper), di miscelare visioni scure e cupe come per gli artisti tedeschi della Nuova Oggettività con i silenzi di Carrà.

Nel 1927 è tra gli organizzatori del Sindacato fascista lombardo per le belle arti. Negli anno '30 si sposta sempre di più verso una monumentalità e un solenne arcaismo. La sua predilezione poi per la pittura murale evidenzia la sua concezione di un'arte didattica e pubblica, etica e politica. Vuole spezzare l'uso del quadro come bene privato a favore di una fruizione collettiva. Ottiene infatti sempre di più commissioni pubbliche per pannelli, affreschi e decorazioni di edifici pubblici come l'allestimento della mostra del 1932 per il decennale del fascismo o come le decorazioni per il nuovo Palazzo della Triennale a Milano di Giovanni Muzio. O ancora la vetrata al ministero delle corporazioni (ora dell'industria) progettato da Piacentini.

Crede così fortemente nella fruizione pubblica dell'arte e del suo scopo etico e didascalico che scrive un Manifesto della pittura murale nel 1933 insieme a Campigli, Carrà e Funi, pubblicato su "La Colonna".

Manifesto della pittura murale

Il Fascismo è stile di vita: è la vita stessa degli Italiani. Nessuna formula riuscirà mai a esprimerlo compiutamente e tanto meno a contenerlo. Del pari, nessuna formula riescirà mai a esprimere e tanto meno a contenere ciò che si intende qui per Arte Fascista, cioè a dire un'arte che è l'espressione plastica dello spirito Fascista. L'Arte Fascista si verrà delineando a poco a poco, e come risultato della lunga fatica dei migliori. Quello che fin d'ora si può e si deve fare, è sgombrare il problema che si pone agli artisti dai molti equivoci che sussistono.

Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione educatrice. Essa deve produrre l'ètica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale. La concezione individuale dell'“arte per l'arte” è superata. Deriva di qui una profonda incompatibilità tra i fini che l'Arte Fascista si propone, e tutte quelle forme d'arte che nascono dall'arbitrio, dalla singolarizzazione, dall'estetica particolare di un gruppo, di un cenacolo, di un'accademia. La grande inquietudine che turba tuttora l'arte europea, è il prodotto di epoche spirituali in decomposizione. La pittura moderna, dopo anni e anni di esercitazioni tecnicistiche e di minuziose introspezioni dei fenomeni naturalistici di origine nordica, sente oggi il bisogno di una sintesi spirituale superiore.

L'Arte Fascista rinnega le ricerche, gli esperimenti, gli assaggi di cui tanto prolifico è stato il secolo scorso. Rinnega soprattutto i “postumi” di essi esperimenti, che malauguratamente si sono prolungati fino al nostro tempo. Benché vari in apparenza e spesso divergenti, questi esperimenti derivano tutti da quella comune materialistica concezione della vita che fu la caratteristica del secolo passato, e che fu profondamente odiosa. La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista. Infatti: sia la pratica destinazione della pittura murale (edifici pubblici, luoghi comunque che hanno una civica funzione), siano le leggi che la governano, sia il prevalere in essa dell'elemento stilistico su quello emozionale, sia la sua intima associazione con l'architettura, vietano all'artista di cedere all'improvvisazione e ai facili virtuosismi.

Lo costringono invece a temprarsi in quella esecuzione decisa e virile, che la tecnica stessa della pittura murale richiede: lo costringono a maturare la propria invenzione e a organizzarla compiutamente. Nessuna forma di pittura nella quale non predomini l'ordinamento e il rigore della composizione, nessuna forma di pittura “di genere” resistono alla prova delle grandi dimensioni e della tecnica murale. Dalla pittura murale sorgerà lo “Stile Fascista”, nel quale la nuova civiltà si potrà identificare. La funzione educatrice della pittura è soprattutto una questione di stile. Più che mediante il soggetto (concezione comunista), è mediante la suggestione dell'ambiente, mediante lo stile che l'arte riescirà a dare un'impronta nuova all'anima popolare. Le questioni di “soggetto” sono di troppo facile soluzione per essere essenziali. La sola ortodossia politica del “soggetto” non basta: comodo ripiego dei falsi “contenutisti”.

Per essere consono allo spirito della Rivoluzione, lo stile della Pittura Fascista dovrà essere antico e a un tempo novissimo: dovrà risolutamente respingere la tendenza tuttora predominante di un'arte piccinamente abitudinaria, che poggia sopra un preteso e fondamentalmente falso “buon senso”, e che rispecchia una mentalità né “moderna” né “tradizionale”; dovrà combattere quegli pseudo “ritorni”, che sono estetismo dozzinale e un palese oltraggio al vero sentimento di tradizione. A ogni singolo artista poi, s'impone un problema di ordine morale. L'artista deve rinunciare a quell'egocentrismo che, ormai, non potrebbe che isterilire il suo spirito, e diventare un artista “militante”, cioè a dire un artista che serve un'idea morale, e subordina la propria individualità all'opera collettiva. Non si vuole propugnare con ciò un anonimato effettivo, che ripugna al temperamento italiano, ma un intimo senso di dedizione all'opera collettiva. Noi crediamo fermamente che l'artista deve ritornare a essere uomo tra gli uomini, come fu nelle epoche della nostra più alta civiltà.

Non si vuole propugnare tanto meno un ipotetico accordo sopra un'unica formula d'arte — il che praticamente risulterebbe impossibile — ma una precisa ed espressa volontà dell'artista di liberare l'arte sua dagli elementi soggettivi e arbitrari, e da quella speciosa originalità che è voluta e rinutrita dalla sola vanità. Noi crediamo che l'imposizione volontaria di una disciplina di mestiere, è utile a temprare i veri e autentici talenti. Le nostre grandi tradizioni di carattere prevalentemente decorativo, murale e stilistico, favoriscono potentemente la nascita di uno Stile Fascista. Tuttavia le affinità elettive con le grandi epoche del nostro passato, non possono essere sentite se non da chi ha una profonda comprensione del tempo nostro. La spiritualità del primo Rinascimento ci è più vicina del fasto dei grandi Veneziani. L'arte di Roma pagana e cristiana ci è più vicina di quella greca. Si è arrivati nuovamente alla pittura murale, in virtù dei principii estetici che sono maturati nello spirito italiano dalla guerra in qua. Non a caso ma per divinazione dei tempi, le più audaci ricerche dei pittori italiani si concentrano già da anni sulla tecnica murale e sui problemi di stile. La vita è segnata per il proseguimento di questi sforzi, fino al raggiungimento della necessaria unità.


da: Rossana Bossaglia, Sironi e il Novecento, Art-Dossier-Giunti, 1991
Achille Funi, Ritratto della sorella
Achille Funi, Ritratto della sorella
Anselmo Bucci, I pittori
 Marussig, Donne al caffè
 Margherita Sarfatti
 La biografia di Mussolini scritta da Margherita Sarfatti
 Manifesto della mostra sul decennale del fascismo, 1932
Ubaldo Oppi, Le Amiche
Il cinema è l'arte più forte