Negli anni '40 Arshile Gorky e Jackson Pollock elaborano una sintesi di cubismo e surrealismo; ma presto abbandonano la severa struttura spaziale cubista per scomporre lo spazio della tela con un segno più dinamico. Questo linguaggio denso di furori espressivi, di bagliori improvvisi, di laceranti intuizioni intime fu definito Espressionismo Astratto.
Gorky, esule armeno, prese il surrealismo parigino e lo trasformò nell'espressionismo astratto americano (Alessio Altichieri). La sua biografia spiega molte sue tele. I suoi quadri sono pervasi da creature biomorfiche ed erotiche come dice Jackie Wullschlager, ma sopratutto raccontano della sua difficile vita di uomo sradicato. Il vero nome era Vosnadig Adoian. Dopo la prima guerra, il genocidio degli armeni, l'annessione alla Russia, l'annessione alla Turchia, la rivoluzione sovietica, la perdita della madre, finalmente l'emigrazione in America, la scoperta del disegno.
"Mi racconto storie, mentre dipingo... Spesso dalla mia infanzia”. E poi: “Mia madre mi raccontava molte storie mentre io schiacciavo la mia faccia, a occhi chiusi, nel suo lungo grembiule. Le storie e i ricami sul grembiule si confondevano nella mia mente. E per tutta la vita hanno continuato a dipanare immagini nella mia memoria”.
La sincerità e l'intensità con cui l'Armeno Gorky e l'Americano Pollock registravano le loro sensazioni libererà energie racchiuse da decenni nell'arte americana.
Le figure astratte di Gorky disegnate con linee morbide e avvolgenti, le condensazioni di colore puro, lo scatto veloce della mano, le metafore sessuali devono più ai surrealisti come Mirò, Ernst e Masson che all'astrattismo geometrico di matrice cubista.
Secondo i surrealisti l'impulso incontrollato, quasi automatico, libera l'inconscio.
La gestualità disinibita e violenta di Pollock porta l'automatismo surrealista alle estreme conseguenze e conferisce all'atto del dipingere un'aura eroica.
Pollock traduce lo spazio magico tracciato sulla sabbia dai pellerossa in grandi tele poste sul pavimento e attorno ad esse si muove quasi danzando con una esaltazione selvaggia come in un rito propiziatorio.
« Quando sono "nel" mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del "familiarizzare" che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l'immagine, ecc., perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c'è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene. »
Proprio per l'accettazione della casualità, del rischio, del caos vitale, l'arte di Pollock fu definita 'Pittura d'azione' (Action painting) e la sua tecnica chiamata Dripping (colore colato o sgocciolato).
Il ruolo acquisito dagli Stati Uniti, usciti dal conflitto come nuovo centro del potere politico ed economico, aveva risolto una volta per tutte il complesso d'inferiorità con l'Europa. Strappata a Parigi un'egemonia secolare, New York è diventata la nuova capitale dell'arte. Nella città più cosmopolita della terra, consci di essere l'avanguardia mondiale dell'arte, gli espressionisti astratti crearono una sorta di comunità assediata che si autodefinì 'degli irascibili'.
A tratti virulento, a tratti lirico, l'olandese Willem DeKooning dipinge figure femminili ossessivamente violente eppure quasi comiche nelle loro deformazioni. In uno spazio di radice cubista le donne di DeKooning incorporano frammenti di figurazione e avvincenti invenzioni astratte.
"E' una visione fugace, un incontro simile a un flash. Come se una di quelle donne dicesse: Ti piaccio? Poteva cambiare di continuo, poteva mettersi a testa in giù o non esserci più, poteva ritornare e avere ogni dimensione. Quando le riguardo mi sembrano strepitanti e feroci e credo che abbiano a che fare con l'idea dell'idolo, par la sua natura chiassosa. Penso che se non guardassi alla vita in questo modo non saprei come andare avanti."
Con un gusto naturale per il metallo e una grande padronanza delle tecniche di saldatura, David Smith crea monumentali figure erette, totem primitivi costruiti con residui metallici. Il suo materiale preferito è il ferro "perché non ha molta tradizione artistica alle spalle e possiede le qualità di questo secolo : potenza, struttura, movimento, progresso, sospensione, distruzione, brutalità."
La grande dimensione delle opere risponde al bisogno di creare un forte impatto emotivo. Con enfasi drammatica Franz Kline traccia linee strutturali, nodi che generano spazio, smisurati ideogrammi catturati in un gigantesca pagina. "Dipingo quadri molto grandi. Dipingere un quadro piccolo significa guardare all'esperienza attraverso una lente riducente. Quando si dipinge un grande quadro ci si è dentro, non lo si controlla."
Solenne, intimo e umano, Mark Rothko dilata fino all'estremo punto tollerabile lo sguardo sulla fisicità del colore che diventa corpo, sangue, tormento. "Non sono interessato ai rapporti tra forma e colore o cose simili, mi interessa solo esprimere emozioni umane fondamentali : la tragedia, l'estasi, il destino; e il fatto che molta gente crolli e pianga davanti ai miei quadri significa che comunico queste emozioni fondamentali. La gente che piange di fronte ai miei quadri vive la stessa esperienza religiosa che ho vissuto io dipingendo"
Purificare l'atto del dipingere da ogni traccia individuale di stile : ecco l'intento di Ed Reinhardt. Più che l'astrattismo, il punto di riferimento è la ricerca del sublime, il paesaggio romantico, la natura spiritualizzata di Friederich. "L'immagine che noi creiamo è una rivelazione reale e concreta che può essere capita da chiunque la guardi senza gli occhiali nostalgici della storia."
Dalla storia e dalla tradizione si allontana anche Mark Tobey attratto dalla mistica e dalla scrittura giapponese. Ricoprendo la superficie della tela con un tessuto di gesti minimi e ripetitivi, tracciando una infinita schiera di segni, Tobey trasforma la tela in pagina scritta.
L'espressionismo astratto ha raggiunto maturità e consensi e le nuove generazioni seguono le orme dei maestri.
Sam Francis deve a Pollock la tecnica del colore colato, non la felice sensibilità cromatica. Il gesto è vivo, efficace, ma è il gioco squillante dei gialli, dei viola, dei blu, dei rossi a dominare.
In un'epoca di delicati equilibri a Larry Rivers tocca il destino dell'acrobata sospeso tra due mondi : l'espressionismo astratto da cui proveniva e l'arte pop, di cui è un precursore. Come Stanley Kubrik ("Il Dottor Stranamore"1964) Rivers sorride dei generali, dei grandi uomini, dei miti della storia e come un acrobata si esibisce sul filo con citazioni, riporti, ripetizioni di immagini comuni; insomma con il linguaggio dell'arte pop.
L'espressionismo astratto entra nei musei , la pop-art esce sulla strada. Stretta tra le spire del consumismo imperante la nuova generazione di artisti pensa che il proprio compito non sia più quello di perfezionare forme astratta ma di colmare il vuoto tra arte e vita. L'artista somiglia sempre di più all'uomo qualunque, preleva oggetti comuni, reperti di vita quotidiana e li manipola, li cambia o li inserisce sulla tela. E' un procedimento già usato da cubisti e dadaisti per questo definito neo-dada.
Acccostando oggetti dozzinali Robert Rauschenberg
mette in crisi i limite tradizionali della tela e invade lo spazio reale e con la violenta pennellata espressionista afferra. Esalta e trattiene frammenti logorati del mondo.
Operazione più sofisticata quella di Jasper Johnes. Quando nel 1954 Johnes esegue la bandiera americana egli gioca tra la finzione del quadro e la realtà dell'oggetto rappresentato e pone una domanda di ordine mentale che anticipa di molti anni l'arte concettuale : si tratta di un quadro o di una bandiera? Di un saggio di pittura o di un'immagine convenzionale?
Diversamente dal neo-dada che preleva oggetti comuni, la pop-art sceglie un'immagine popolare e la rifigura, la ricostruisce in fedeltà solo apparente al modello prescelto facendo intervenire una serie di scarti, di minime differenze, a cominciare da un evidente spostamento di scala. La pop.art moltiplica l'immagine sul quadro come la pubblicità la moltiplica nel panorama urbano o sugli schermi televisivi.
Negli Stati Uniti i grandi cartelloni pubblicitari sono spesso dipinti a mano con la stessa tecnica fotografica illusionistica che Wesselmann e Rosenquist usano per le loro grandi tele. Il soggetto selezionato varia da un artista all'altro, il processo è analogo.
Roy Lichtenstein elabora un fumetto o un'immagine tipografica compresi il retino e lo splendore netto delle stesure cromatiche, ingrandendo e monumentalizzando episodi degli eroi di cartone. Estraniandoli e decontestualizzandoli li esalta e li deride contemporaneamente.
Bersagli, scritte, segnali urbani catturano Robert Indiana che vede il sogno americano come una specie di tiro a segno.
Claes Oldenburg ingigantisce un oggetto comune fino a farlo diventare un monumento. "Ciò che voglio è creare cose misteriose, come la natura." Questa natura urbana non è parodia, critica sociologica, ma il tentativo di riconciliare l'uomo con gli oggetti.
"Ciò che oggi si chiama oggetto d'arte è la componente degradata, svilita di un oggetto magico; il ritorno al vero distruggerà la nozione di arte e restituirà all'oggetto il suo potere, allora la magia dell'universo sarà restaurata e lo scisma tra animato e inanimato sarà risanato." Woody Allen ha tratto un spot pubblicitario da quest'idea pochi anni fa (Coop, 1995) : torte, frittate, lembi di carne diventano sculture. Gli oggetti che si afflosciano e si deformano hanno una vulnerabilità umana. "Voglio un'arte politico-erotico-mistica che faccia qualcos'altro che sedersi sul culo in un museo. Voglio un'arte dolce e stupida, come la vita."
Con calchi in gesso ricavati direttamente da modelli umani George Segal blocca in forma spettrale l'esistenza anonima dell'uomo di città assieme ai suoi gesti automatici e impersonali.
Non importa tanto il realismo del soggetto quanto la tecnica di produzione, il calco preso direttamente dall'oggetto, questo vale sia per il corpo umano sia per la macchina che produce e moltiplica immagini. L'artista non si sottrae al linguaggio di massa, lo usa e lo reinterpreta. "Il mezzo è il messaggio" direbbe McLuhan.
Usando gli stessi clichè spersonalizzati dei media Andy Warhol rende significativa la ripetitività meccanica.
"Il motivo per cui dipingo in questo modo è perché voglio essere una macchina. Uno qualsiasi dei miei assistenti può riprodurre altrettanto bene un disegno. Penso che tutti dovrebbero essere come tutti gli altri. Penso che tutti dovrebbero essere macchine"
Nella ripetizione inarrestabile delle repliche, una scatola di conserva e una rock-star un oggetto funzionale e una diva hanno lo stesso valore. L'immagine si è consumata, ha raggiunto il suo destino di morte.
Warhol è l'antieroe il contrario dell'artista che sfida i valori dominanti della società. "Adoro Los Angeles, adoro Hollywood, sono stupende; tutti sono di plastica. Ma io adoro la plastica, voglio essere di plastica."