APPUNTI DI STORIA DELL'ARTE

Dipartimento di Disegno e storia dell'arte del Liceo "Primo Levi" di San Donato Milanese

Giovanni Boldini

Ferrara, 31 dicembre 1842 - Parigi 11 gennaio 1931

Ritratto di Lilia Monti (Contessa Magnoni)
1864, olio su tela, 67x53
Ferrara, Galleria d'Arte Moderna
Negli anni '60 Boldini, grazie ad una eredità, si sistema a Firenze e frequenta l'Accademia. In città conosce e frequenta il gruppo dei macchiaioli nel caffè Michelangelo e il pittore Michele Gordigiani. Dipinge ritratti e paesaggi e conosce la comunità inglese di Firenze tra cui i Falconer. Scrive Telemaco Signorini sul "Gazzettino delle arti del disegno" nel 1866:"Mentre la fattura larga e facile ci piace, il colore continuamente bello e lucido ci stanca; in natura i colori belli di per se stessi non vi sono, ma paiono tali per il giusto contrapposto con gli altri, il fare i colori più belli della natura è far falso e convenzionale insieme".

Il ritratto della contessa Magnoni, poi sposata Monti, è forse l'ultimo ritratto in cui Boldini dipinge uno sfondo omogeneo e neutro. Assimilata e superata la lezione dei macchiaioli, e dopo aver compiuto viaggi a Napoli e a Londra, la pittura di Boldini cambierà: spariranno gli sfondi neutri a favore dell'inserimento del soggetto in un ambiente vero.
Ritratto di Alaide Banti,
1866, Firenze, Galleria d'Arte Moderna
Ritratto di Diego Martelli
1867, Firenze, Galleria d'Arte Moderna
Come nei ritratti di poco precedenti (L'amatore d'arte e Il ritratto di Giuseppe Abbati)Boldini apporta molte novità nel ritratto in un interno. La posa di Diego Martelli (il grande critico d'arte e sostenitore dei macchiaioli) è inconsueta, lo sfondo dell'atelier ha la stessa importanza del soggetto, le pennellate sono rapide e dense. Il personaggio si cala in modo nuovo e dinamivo nell'ambiente. Ecco dunque che Diego Martelli, accovacciato a terra, si sbilancia verso di noi, inclinando e rattrappendo il busto sull'asse orizzontale delle gambe. In un bellissimo e dinamico incastro di piani viene trovata una soluzione di equilibrio grazie a un punto di vista ribassato e a un risucchio di lumeggiature che creano un brivido scorrente verso la parte posteriore della stanza.(Alessandra Borgogelli)
Le sorelle Laskaraki
1869, olio su tavola, 14x23
Ferrara, Museo Boldini
Dal sito del Museo Boldini di Ferrara:
A Firenze Boldini trova un ambiente ricco di stimoli e qui intraprende una proficua attività di ritrattista. La vicinanza alla cerchia dei macchiaioli, un gruppo di artisti che si battevano per affermare le ragioni di un’arte anticonvenzionale e fedele al “vero”, sostiene la sua ricerca di un nuovo modo di intendere il ritratto, al cui rinnovamento Boldini contribuirà in maniera decisiva.

Esemplificativo di questa prima fase, Le sorelle Lascaraky – appartenenti ad una famiglia russa allora residente a Firenze – è un piccolo capolavoro frutto anche di un’intuizione psicologica di straordinaria sottigliezza. In questo vero e proprio brano di realtà borghese contemporanea, Boldini riesce a restituire perfettamente il carattere delle fanciulle e le dinamiche degli affetti attraverso la descrizione dei loro atteggiamenti. Sedute su un divano, le sorelle sono intente a lavori di cucito. Il gesto graziosamente “scomposto” della giovane al centro, che distende le gambe per appoggiare i piedi al tavolo, sottolinea ancor più l’intimità della scena, un’intimità familiare di cui il pittore era partecipe.
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Scena galante nel parco di Versailles
1876, collezione privata
Boldini in questi anni '70 è ormai un pittore affermato a Parigi. e il suo stile è caratterizzato da una forte attrazione per quello che chiamiamo adesso kitsch. All'epoca era il gusto dominante nei salotti e nella borghesia industriale. Il gusto formatosi in Francia preferiva citazioni settecentesche, tavolozze lucide e temi leggeri. L'accademia non era ancora entrata in crisi e gli artisti "Pompier" erano molto amati, come Cabanel e Bougerau che dipingevano scene mitologiche e sensuali sulla scia di Ingres e David. Il terreno artistico, già dissodato dai romantici come Delacroix e Gericault e poi dai realisti, era ora coltivato dagli artisti della galleria Goupil: Meissonier, De Nittis e Fortuny.
Anche Boldini si inseriva in questa scuderia e le sue scenette di genere, dipinte con grande freschezza e dinamicità, erano molto apprezzate
Due figure in maschera (Dopo il veglione)
1878, olio su tela, 300x200
Ferrara, Museo Boldini
Il gusto Kitsch e retrò della Gallerie Goupil, con la quale collaborava, è qui evidente. Insieme a Meissonier, Fortuny e De Nittis, Boldini divenne ricco e famoso con i quadri di genere e i ritratti delle nobildonne parigine. La tecnica sopraffina e la verità moderna delle posizioni e della dinamicità dei soggetti rendono le opere di Boldini interessanti oltre i limiti della convenzionalità del genere. Quest'opera si solleva grazie al trattamento modernissimo del muro, con i due manifesti strappati. Un realismo gradevole dentro un'opera convenzionale.
Casa in costruzione
1880, collezione privata
Boldini a Parigi dipinge anche vedute di tipo urbano, come i pittori francesi.Dipinge le piazze e i bouleverds ma il suo stile è diverso dagli altri. Egli lo anima sempre con la presenza di cavalli o figure o carrozze. la sua luce è sempre pittosto spenta e livida; non tenta di rappresentare i forti contrasti di ombra e luce come fanno De Nittis ,Zandomeneghi e i nascenti impressionisti. Infatti De Nittis partecipa alla prima mostra degli impressionisti nel 1874.
Place Pigalle con due cavalli bianchi
1882, collezione privata
La cantante mondana
1884, olio su tela, 61x46
Ferrara, Gallerie d'arte Moderna (Museo Boldini)
Dal sito del Museo Boldini di Ferrara:
Abbandonati i soggetti di “genere”, all’inizio degli anni Ottanta Boldini torna a dedicarsi al ritratto e, contemporaneamente, intraprende una ricerca figurativa sui temi della città moderna che resterà perlopiù confinata nella parte più intima e sperimentale della sua produzione, quella dei disegni, delle incisioni o delle opere destinate agli amici. In essa l’artista estende la sua indagine anche ai luoghi della vita notturna: i teatri, i caffè concerto, i salotti musicali e nel suo repertorio fanno così la loro comparsa, d’improvviso, musicisti, ballerine, cantanti, gruppi al caffè. Sono opere che, per soggetto e stile, dimostrano la conoscenza dei dibattiti figurativi d’avanguardia e del lavoro di Degas, insieme al quale Boldini frequentava la Parigi notturna e i suoi protagonisti.

Il dipinto non è ambientato in un caffè o in un salotto musicale, bensì nell’atelier dell’artista in Place Pigalle, di cui Boldini ripropone uno scorcio con il suo pianoforte e due dipinti alla parete. La fattura è sciolta e la pittura è stesa a grandi e sintetiche pennellate. La composizione è costruita su un complesso intreccio di diagonali ed è caratterizzata da tagli improvvisi, probabilmente desunti dall’estetica del “giapponismo” allora molto in voga, come quello che lascia fuori dall’inquadratura il corpo del pianista sulla sinistra risparmiandone solo le mani e il viso. L’opera propone inoltre un’inquadratura fortemente ravvicinata, che sottolinea l’istantaneità e, dunque, la “verità” della scena.
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Ritratto di Emiliana Concha de Ossa
(Il-pastello-bianco)

1888, pastello su tela, 200x110
Milano, Galleria d'Arte Moderna
Emiliana era una giovane ragazza, appena diciottenne; di buona familglia, era infatti una delle nipoti di Ramòn Subercaseaux, un brillante diplomatico, scrittore e pittore dilettante, committente e poi amico di John Singer Sargent, il pittore amico di Boldini che lo aveva introdotto nella cerchia dei ricchi cileni in viaggio per le capitali d’Europa. Tra le sue righe si legge in proposito sul pittore di Ferrara

Il quadro ha ricevuto un prestigioso premio all’Esposizione Universale di Parigi del 1889, inoltre la critica contemporanea vi riconobbe una svolta artistica di Boldini. La sua vena creativa ed il suo pennelo leggero capace di dare un’anima ai volti ritratti, era riuscita a rappresentare una femminilità suprema ed irresistibile, correttissima e pudica… come evocazione di assoluta purezza d’animo. Il maestro fu consapevole da subito di questo felicissimo risultato, raggiunto grazie anche alla maestria con cui sapeva padroneggiare la tecnica del pastello anche su vaste superfici, degno erede della grande tradizione ritrattistica settecentesca di Raphael Mengs e Rosalba Carriera; perciò non si volle mai privare di quella opera così fragile eppure così ipnotica. La tela non venne ceduta e Boldini la conservò nel suo atelier fino a quando la vedova Emilia Cardona non decise di donarla allo Stato Italiano, che la destinò a Brera.

Purtroppo il ritratto di Emiliana Concha de Ossa non ha resistito. Contrariamente a quanto i venditori sostenevano, ed a quanto il maestro sperava, il colore perse col tempo ogni coesione con la tela. Aveva acquisito la consistenza (e la fragilità) della seta tanto era fine e, poichè era stata preparata con una stesura chiara, cominciava a polverizzarsi: muffe e allarmanti alterazioni cromatiche erano evidenti in più punti sia sul recto che sul verso della tela; quest’ultima era ancorata al telaio originale mediante chiodi e sellerine, sistema non più idoneo in quanto non ne assicurava più una tensione graduale, controllata e continua.

L’opera è stata sottoposta ad un lungo e delicato restauro, generosamente finanziato da Casimiro Porro, e affidato alle cure di Barbara Ferriani e Paola Borghese, preceduto da una serie di indagini, a cura di Giovanni Testa, Manrico Firpi, Thierry Radelet e Giuseppe Laquale.

( Cinzia Modena da www.trespi.net)
Signora nello studio dinanzi al pastello bianco
1888, olio su tela, 80x64
Ferrara, Museo Boldini
Dal sito del Museo Boldini di Ferrara:
Ambientato nell’atelier di Boulevard Berthier, il quadro raffigura lo studio del pittore con una donna intenta ad ammirare uno dei suoi dipinti più celebri, il Ritratto di Emiliana Concha de Ossa, noto anche come Pastello Bianco (Milano, Pinacoteca di Brera). Sullo sfondo, lasciato in alcune parti non finito, l’artista ritrae il suo pianoforte e due quadri di difficile identificazione, un ritratto maschile e un altro, sulla destra, appena accennato da poche pennellate. Alcuni schizzi di un nudo femminile sulla sinistra, lasciano intuire la natura sperimentale e privata dell’opera.

Il ritratto della giovane cilena è il punto focale della composizione e, al contempo, la quinta scenica sulla quale si staglia, per contrasto, la silhouette nera della stessa modella in visita all’atelier che richiama la Mary Cassat al Louvre di Edgar Degas. L’opera appartiene infatti al periodo di più intensa frequentazione tra Boldini e il francese, che si erano conosciuti attorno al 1880 e si erano recati insieme in Spagna nel 1889 per un viaggio di studio.
Oltre ad essere un’interessante veduta dell’atelier, questo dipinto è un’intelligente interpretazione del tema del doppio in voga alla fine del secolo. A differenza di altri, Boldini sostituisce l’uso dell’immagine nello specchio facendo “riflettere” la modella nella sua stessa effigie
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Ritratto di Madame Charles Max
1896, Parigi, Museo d'Orsay
L'opera ritrae madame Charles Max a figura intera e restituisce una sensazione di avvenenza, giovinezza e dinamismo. La donna, avvolta da un fluttuare di abiti e di pennellate, incede lievemente verso lo spettatore, al quale rivolge uno sguardo disinibito e rilassato. Boldini descrive attentamente l'anatomia del personaggio: come osservato dai critici d'arte Giorgio Cricco e Francesco Di Teodoro, «la gamba sinistra è appena sollevata, con il ginocchio conseguentemente avanzato e il braccio corrispondente slanciato all'indietro, per equilibrare il passo, mentre la mano destra raccoglie con gesto sapiente il lungo vestito per agevolare ulteriormente l'andatura». Boldini medita a lungo anche sull'ovale del volto, dove risaltano le gote rosate, il sorriso appena accennato tinto da un rossetto vermiglio e l'acconciatura scarmigliata.

Madame Max è inoltre ammantata in una candida veste, sorretta in vita da una fusciacca e alle spalle da una sola, esile striscia (l'altra, infatti, è provocatoriamente scivolata oltre la spalla) e munita di una generosa scollatura. Se le pennellate che disegnano il volto sono descrittive e attente ai dettagli, nella raffigurazione della veste Boldini si concede una stesura guizzante e ricorre alle sue proverbiali «sciabolate»: la regale veste da sera, infatti, autorizza l'impiego di pennellate lunghe e delicate, con le quali la figura di Madame Max sembra acquistare un'inedita levità, quasi come se il pittore avesse colto il meraviglioso attimo di un volo sospeso.

Con l'inequivocabile sorriso carico di malizia che Madame Max rivolge allo spettatore, tuttavia, Boldini rimanda anche ad un'altra verità: quella, ovvero, di un'epoca in cui le donne sfidano le consuetudini borghesi ed espongono con orgoglio la propria femminilità. Sullo sfondo, infine, Boldini accenna uno stipite modanato, alludendo così al favoloso mondo in cui viveva la nobildonna, ricco di sfarzi e di mondanità. (Cricco - Di Teodoro)
Ritratto di Lady Colin Campbell
1897, London, National Gallery
Il conte Robert de Montesquiou
1897, olio su tela, 116x82
London, National Gallery
L'intellettuale francese viene colto in un momento di noia, mentre osserva il suo bastone, é proprio in queste pose da istantanea fotografica che Boldini crea la sua verità realistica. Il ritratto del dandy è tutto giocato in tonalità grigie e tortora su cui spiccano l'avorio dei guanti, il bianco della camicia e le lumeggiature dell'impugnatura del bastone.
Un angolo della mensa del pittore
1897, olio su tavola, 120x38
Ferrara, Museo Boldini
Un angolo della mensa del pittore Questa natura morta è una delle rare prove di Boldini in questo genere, trattato per lo più come esercitazione privata, e si distingue dalle altre per concezione ed esecuzione. Il formato fortemente allungato e l’ardita inquadratura a “volo d’uccello”, che fa sì che gli oggetti rappresentati vengano sospinti verso l’osservatore, fanno risaltare il prezioso servizio di argento e porcellana – sul cui bianco spicca la nota di arancio della frutta – e il particolare delle iniziali “GB” ricamate sulla tovaglia, attributi dello status sociale di un artista dal tenore di vita analogo a quello dei suoi ricchi committenti. Il carattere di studio di quest’opera sembra essere avvalorato anche dalla presenza di un altro schizzo ad olio (Interno di uno studio con figure in movimento), originariamente sul retro della tavola.

L’atmosfera intima ed evocativa dell’opera la accomuna ad altre vedute della casa e dell’atelier, protagoniste di una ricerca figurativa peculiare condotta da Boldini a partire dalla metà degli anni Ottanta. Inizialmente utilizzate come scenario nel quale ambientare le visite di amici artisti e critici o le serate musicali, queste vedute si spogliano progressivamente dalla presenza umana: l’attenzione del pittore si focalizza sempre più sugli ambienti e sugli oggetti in essi contenuti che divengono, a tutti gli effetti, i soli protagonisti di questo universo “privato”.

Gli scorci dell’atelier con i dipinti, ma anche gli utensili e gli oggetti d’uso quotidiano come quelli qui raffigurati divengono, inaspettatamente, un universo formale capace di suscitare emozioni e suggestioni. Osservando tali opere, si ha, inoltre, l’impressione che in esse si celi il sottile desiderio di raccontare, tramite le immagini degli spazi e degli oggetti vissuti più intensamente, qualcosa di colui che quegli ambienti abita e quegli oggetti possiede. Quadri appoggiati alle pareti, l’orologio Luigi XV, il mantello abbandonato sulla bergère, il calco in gesso del busto del Cardinale de’ Medici del Bernini o, ancora, la mensa del pittore, si caricano di significato divenendo, da semplici elementi formali, presenze vive ed eloquenti
vedi Museo Boldini
Ritratto di Cléo de Mérode
1901, collezione privata

Di nobile nascita, figlia della baronessa austriaca Vincentia de Mérode (dama di Corte dell'Imperatrice Elisabetta d'Austria) e di un nobile viennese che volle mantenere l'anonimato, Cléo si chiamava in realtà Cléopâtre-Diane. Venuta al mondo in un appartamento borghese di Parigi, Cléo crebbe come una parigina; eletta reginetta di bellezza da un concorso indetto da una rivista illustrata, Cléo fu avviata alla danza in giovane  Cleo de Merodeetà presso la scuola dell'Opéra di Parigi, dimostrando buona attitudine alla disciplina. Il suo debutto avvenne appena undicenne.

In breve il successo le arrise, e la sua bellezza e grazia divennero un solido punto di riferimento per le donne francesi, che ne imitarono stile e modo di vestire.  Cleo de MerodeCléo posò come modella per diversi artisti, tra i quali Toulouse-Lautrec, Edgar Degas e Giovanni Boldini, divenendo anche così il fulcro di quel mondo, cosiddetto di "fine secolo". Cléo in particolare ideò una pettinatura a bande piatte sulle orecchie, che sarebbe stata destinata a siglare la moda della Belle Époque. I fotografi dell'epoca fecero a gara nel riprodurne le fattezze, che finirono (per la prima volta per una "demi-mondana") anche sulle cartoline, cosicché la immagine di Cléo finì per raggiungere angoli del globo che ella non visitò mai.

 Cleo de MerodeCelebre fu la sua relazione segreta con il monarca Leopoldo II del Belgio, ribattezzato nei salotti Europei Cleopoldo.  Cleo de MerodeIl sovrano si era innamorato di Cléo dopo averla veduta in una rappresentazione della verdiana "Aida" in cui la giovane (all'epoca dei fatti quindicenne, mentre Leopoldo II aveva oltre 60 anni) impersonava una egizia. La storia spalancò a Cléo - il cui raro talento nella disciplina tersicorea venne presto universalmente ammirato - i palcoscenici di mezzo mondo, portandone la fama persino in Russia e negli Stati Uniti d'America.
Ritratto di Giuseppe Verdi
1903, pastellosu carta riportato su tela, 161x181
Milano, Galleria d'Arte Moderna
Il pastello raffigura Giuseppe Verdi frontalmente a mezzobusto. Il maestro indossa il suo famoso paltò, una sciarpa di seta annodata al collo e l'alto cilindro nero e lucido posato sul capo: il suo abbigliamento, curato e mondano, è segno della sua prosperità economica, e la sciarpa in particolare offre una testimonianza del suo impareggiabile estro artistico.

L'espressività della sua espressione è palpabile: i suoi occhi limpidi e chiari fissano l'osservatore con curiosità, le narici sembrano quasi fremere, e la lieve fragranza del volto si stempera nella barba bianca e curata, resa con toni bianchi e con esili linee nere, che conferisce alla composizione una compostezza solenne, quasi ieratica. Lo stesso Verdi, meravigliato dall'acuta caratterizzazione psicologica del viso, riconobbe apertamente «la rassomiglianza e il merito del lavoro», aggiungendo persino che gli sembrava «uno scherzo più che un ritratto serio», forse sorpreso dal piglio del suo alter ego pittorico, così penetrante da sembrare persino caricaturale (Alessandra Borgogelli)

Boldini riuscì a incontrare Verdi per l'intercessione di Emanuele Muzio, direttore d'orchestra e allievo di Verdi, del quale aveva eseguito precedentemente uno splendido ritratto (Il maestro Muzio mentre dirige). Boldini fece un primo ritratto du cui non fu soddisfatto ne lui ne' Giuseppe Verdi (donato alla Casa di riposo per musicisti di Milano). Riuscì a far posare perun'ultima mattina il maestro, notoriamente schivo, e in poche ore creò l'opera.
Ritratto di Madame Marthe Regnier
1905, collezione privata
Ritratto di Mademoiselle De Gillespie
1912, olio su tela, 131x98
Ritratto di Olivia di Subercaseaux Concha (la signora in rosa)
1916, olio su tela, 163x113
Ferrara, Museo Boldini
La signora in rosa Dal sito del Museo Boldini di Ferrara:
L’opera, datata 1916 dallo stesso Boldini e rimasta sempre nella sua collezione privata, appartiene alla tarda maturità dell’artista e rappresenta una delle prove più riuscite di questa fase. L’effigiata pare appartenesse alla famiglia cilena Subercaseaux-Concha- Errázuriz con la quale Boldini era in rapporti professionali sin dal 1887: Emilia Cardona sostiene infatti si tratti della nipote di Emiliana Concha de Ossa, modella di Boldini nel 1888 per il celebre Pastello bianco tanto che, sin dal 1931, l’opera è stata esposta come ritratto di Olivia de Subercaseaux Concha o di Olivia Concha de Fontecilla.

La scelta ormai consueta, quasi una firma, di ritrarre le sue modelle in atteggiamenti eleganti ma disinvolti, come colte di sorpresa, quasi non fossero “in posa”, conferisce ai ritratti quella peculiare nota di modernità con la quale aveva saputo rinnovare il canone classico del ritratto ufficiale.Come ebbe a dire Arsène Alexandre, a proposito di alcuni dipinti esposti al Salon du Champ de Mars del 1909, ammirate o avversate che fossero, le effigi di Boldini erano comunque la perfetta espressione del loro tempo.
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