Filippo de Pisis (Ferrara, 11 maggio 1896 –
Milano,
2 aprile
1956), nome d'arte di Filippo
Tibertelli è stato un
pittore e
scrittore
italiano, tra i maggiori esponenti ed
interpreti
della pittura italiana della prima metà del
'900, arrivato alla pittura dopo aver
pubblicato, nel
1916, anche un volume di versi.Iinizia
adolescente a comporre poesie, ma
prevalentemente dedica molto del suo tempo allo studio della
pittura sotto la guida del maestro Odoardo Domenichini
a
Ferrara. E' proprio la pittura in futuro
a portarlo a vivere una vita avventurosa,
appassionata in varie località sia italiane
(Roma,
Venezia e
Milano) che europee
Parigi e
Londra.
Colpito da una malattia nervosa piuttosto seria e dopo un breve ricovero nell'ospedale psichiatrico di Venezia viene esentato dal servizio militare. Nel 1915 incontra De Chirico, il fratello Alberto Savinio a Ferrara per il servizio militare e nel 1917 Carlo Carrà. Rimane suggestionato del loro modo di interpretare e concepire la pittura. Inizialmente, ne condivide lo stile metafisico, ma poi dopo brevi soggiorni a Roma e a Parigi all'inizio degli anni venti per lui su aprono nuovi orizzonti pittorici. Inizia a plasmare un suo stile fatto di suggestioni e soggetti del tutto originali, dove il tratto pittorico diventa spezzato quasi sincopato. Eugenio Montale lodandolo definì il suo stile come "pittura a zampa di mosca"
De Pisis dopo avere scritto prose e liriche raccolte nei Canti della Croara ed Emporio nel 1916, nel 1920 inizia a scrivere il saggio "La città dalle 100 meraviglie", pubblicato in seguito a Roma nel 1923. Alla ricerca di nuove fonti di idpirazione si trasferisce nel 1925 a Parigi. Il soggiorno si protrae interrottamente per quattordici anni rivelandosi essenziale sotto l'aspetto artistico. Conosce Edouard Manet, Camille Corot, Henri Matisse e i Fauves, arriva ad un uso più gestuale del colore e, oltre alle nature morte, dipinge anche paesaggi urbani, nudi maschili e immagini d’ermafroditi.
Nel 1926 de Pisis, presentata da De Chirico riesce ad esporre la sua prima mostra personale parigina alla Galerie au Sacre du Printemps. Continua in seguito ad esporre anche in Italia e inizia a scrivere articoli per "L'Italia Letteraria" ed altre riviste minori.Entra a far parte degli "Italiani di Parigi", un gruppo d’artisti che comprendeva de Chirico, Savinio, Massimo Campigli, Mario Tozzi e Renato Paresce, e il critico francese George Waldemar (che alcuni anni prima aveva scritto una monografia su de Pisis). Presenta la mostra "Appels d'Italie" alla Biennale di Venezia del 1930.
L'anno dopo, per illustrare il libro del suo grande amico Giovanni Comisso, esegue una serie d’acquarelli, poi parte per l'Inghilterra, un viaggio breve che ripeterà ben tre volte, stringendo rapporti d'amicizia con Vanessa Bell e Duncan Grant. Nel 1938 ritornato in Italia De Pisis è ospite di Italo Mus con il quale inizia, nello studio del pittore a Saint Vincent, una proficua ma breve collaborazione. Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940, i sintomi della malattia nervosa dalla quale era affetto fin da ragazzo, sono sempre più evidenti, ma continua lo stesso a lavorare. Si trasferisce a Milano.Nel 1944 è a Venezia a studiare la pittura di Francesco Guardi e di altri maestri veneziani del XVIII secolo. Qui, negli anni 1946-47, frequenta anche il pittore forlivese Maceo (1899 – 1992). Più tardi, a Roma, scoperti i toni della pittura settecentesca, li reinterpreta nelle nature morte e nei fiori, che diventano l'argomento prediletto.
Le sue opere ottengono il successo che si meritano, soprattutto alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1954, ma la malattia e le precarie condizioni di salute negli ultimi due anni non gli permetteranno più di svolgere alcun lavoro.Ricoverato in una clinica di Milano, muore il 2 aprile del 1956 Le immagini che l'artista dipinge sono, più che disegnate, evocate e circondate da un continuo clima poetico, come risulta dalle vedute parigine, londinesi, dalle marine veneziane, dai nudi e dai grandi mazzi di fiori Nel 1949-1950, de Pisis aderisce al progetto dell' importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Piccolo fabbro". La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì. Anche le opere del suo ultimo periodo risentono di un'intensità poetica eccezionale, di una netta opposizione a ogni forma di classicismo, delle sue straordinarie doti di colorista che lo pongono fra i più grandi pittori contemporanei.
Colpito da una malattia nervosa piuttosto seria e dopo un breve ricovero nell'ospedale psichiatrico di Venezia viene esentato dal servizio militare. Nel 1915 incontra De Chirico, il fratello Alberto Savinio a Ferrara per il servizio militare e nel 1917 Carlo Carrà. Rimane suggestionato del loro modo di interpretare e concepire la pittura. Inizialmente, ne condivide lo stile metafisico, ma poi dopo brevi soggiorni a Roma e a Parigi all'inizio degli anni venti per lui su aprono nuovi orizzonti pittorici. Inizia a plasmare un suo stile fatto di suggestioni e soggetti del tutto originali, dove il tratto pittorico diventa spezzato quasi sincopato. Eugenio Montale lodandolo definì il suo stile come "pittura a zampa di mosca"
De Pisis dopo avere scritto prose e liriche raccolte nei Canti della Croara ed Emporio nel 1916, nel 1920 inizia a scrivere il saggio "La città dalle 100 meraviglie", pubblicato in seguito a Roma nel 1923. Alla ricerca di nuove fonti di idpirazione si trasferisce nel 1925 a Parigi. Il soggiorno si protrae interrottamente per quattordici anni rivelandosi essenziale sotto l'aspetto artistico. Conosce Edouard Manet, Camille Corot, Henri Matisse e i Fauves, arriva ad un uso più gestuale del colore e, oltre alle nature morte, dipinge anche paesaggi urbani, nudi maschili e immagini d’ermafroditi.
Nel 1926 de Pisis, presentata da De Chirico riesce ad esporre la sua prima mostra personale parigina alla Galerie au Sacre du Printemps. Continua in seguito ad esporre anche in Italia e inizia a scrivere articoli per "L'Italia Letteraria" ed altre riviste minori.Entra a far parte degli "Italiani di Parigi", un gruppo d’artisti che comprendeva de Chirico, Savinio, Massimo Campigli, Mario Tozzi e Renato Paresce, e il critico francese George Waldemar (che alcuni anni prima aveva scritto una monografia su de Pisis). Presenta la mostra "Appels d'Italie" alla Biennale di Venezia del 1930.
L'anno dopo, per illustrare il libro del suo grande amico Giovanni Comisso, esegue una serie d’acquarelli, poi parte per l'Inghilterra, un viaggio breve che ripeterà ben tre volte, stringendo rapporti d'amicizia con Vanessa Bell e Duncan Grant. Nel 1938 ritornato in Italia De Pisis è ospite di Italo Mus con il quale inizia, nello studio del pittore a Saint Vincent, una proficua ma breve collaborazione. Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940, i sintomi della malattia nervosa dalla quale era affetto fin da ragazzo, sono sempre più evidenti, ma continua lo stesso a lavorare. Si trasferisce a Milano.Nel 1944 è a Venezia a studiare la pittura di Francesco Guardi e di altri maestri veneziani del XVIII secolo. Qui, negli anni 1946-47, frequenta anche il pittore forlivese Maceo (1899 – 1992). Più tardi, a Roma, scoperti i toni della pittura settecentesca, li reinterpreta nelle nature morte e nei fiori, che diventano l'argomento prediletto.
Le sue opere ottengono il successo che si meritano, soprattutto alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1954, ma la malattia e le precarie condizioni di salute negli ultimi due anni non gli permetteranno più di svolgere alcun lavoro.Ricoverato in una clinica di Milano, muore il 2 aprile del 1956 Le immagini che l'artista dipinge sono, più che disegnate, evocate e circondate da un continuo clima poetico, come risulta dalle vedute parigine, londinesi, dalle marine veneziane, dai nudi e dai grandi mazzi di fiori Nel 1949-1950, de Pisis aderisce al progetto dell' importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Piccolo fabbro". La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì. Anche le opere del suo ultimo periodo risentono di un'intensità poetica eccezionale, di una netta opposizione a ogni forma di classicismo, delle sue straordinarie doti di colorista che lo pongono fra i più grandi pittori contemporanei.